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La salute di Eva – Il nesso tra dieta e malattie femminili


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La salute di Eva – Il nesso tra dieta e malattie femminili

Anche se le donne hanno un’aspettativa di vita tra le più alte al mondo, gli anni vissuti in salute, quelli che veramente contano, si stanno accorciando di decennio in decennio. Mentre la loro carrozzeria resiste di più nel tempo, il motore smette di funzionare sempre prima.

Sono più longeve degli uomini, eppure c’è qualcosa che le rende sempre più fragili.

Alzi la mano chi non conosce almeno una donna che non soffra di forti dolori mestruali, ipotiroidismo, mal di schiena, stanchezza cronica, obesità, diabete, artrite, osteoporosi, gastrite, asma o tumore al seno!
Anche nei casi in cui il corpo resiste, spesso è la mente a sprofondare nel buio. La depressione femminile è ormai una piaga sociale, insieme all’Alzheimer e all’ansia.

La situazione non è affatto rosea.
Le donne crescono fin da piccole con l’idea che sia normale soffrire in quanto “figlie di Eva”. Oltre ai dolori legati alla femminilità da quelli mestruali alla candida, dalla mastalgia ai problemi in menopausa, soffrono statisticamente più degli uomini anche per ogni sorta di malattia non direttamente collegata al sesso: dall’osteoporosi all’emicrania, dall’artrite all’insonnia.

I medici affermano che la colpa di molti problemi di salute spesso va ricercata negli ormoni “squilibrati”. Che ci sia lo zampino ormonale in molte malattie è assodato. Siamo sicuri però che gli ormoni sul banco degli imputati siano i nostri, e non quelli contenuti in alcuni cibi animali che mettiamo in tavola ogni giorno?
Un alimentazione a prova di femmina

La dieta umana, la base della nostra salute, è stata completamente stravolta negli ultimi cinquant’anni. Non è aumentato solo il consumo di zuccheri raffinati e di cibi spazzatura, di verdure ricche di pesticidi e di barrette di cioccolato. Anche l’apporto di cibi animali è più che quadruplicato in poco tempo, mentre è crollato il consumo di legumi, di certi frutti e delle dimenticate erbe selvatiche.

A livello evolutivo non eravamo pronti per salti quantici di questo tipo. Il nostro DNA non sta più reggendo il passo.

Nelle Facoltà di Medicina sono minime le ore dedicate all’insegnamento della scienza della nutrizione. I nostri stessi medici quindi restano spesso all’oscuro dei comprovati benefici di alcune tipologie di dieta.

L’industria farmaceutica non ha alcun interesse che si parli troppo della potenza guaritrice del cibo, e l’industria alimentare dal canto suo, soprattutto quella zootecnica, ha invece tutto l’interesse che non si riveli troppo apertamente la nocività di alcuni suoi prodotti. Queste superpotenze hanno la capacità economica e politica di mettere una museruola alla voce della verità, imbrigliando l’informazione a loro vantaggio, in modo che ci arrivi distorta, o non ci arrivi del tutto.

Malattie

Secondo le stime del GBD 2010 (Golden Burden of Disease) il killer n.1 delle donne in età fertile in Italia e in Europa è il tumore al seno. Dopo la menopausa invece, a portare a morte prematura le donne sono i problemi cardiovascolari, mentre la causa più frequente di morte per le bambine e le adolescenti sono gli incidenti stradali e i tumori.

Il GDB, cioè il Peso Globale delle Malattie, è una banca dati epidemiologica senza paragoni. Questi strumento è nato nel 1990 su richiesta della Banca Mondiale per valutare lo stato di salute delle nazioni. Per misurare le disabilità e le malattie più comuni, 488 scienziati hanno raccolto ed esaminato i dati di milioni di persone. La sua unità di misura è il D.A.L.Y (Disability- Adjusted Life Years), un valore che assegna ad ogni malattia un peso, inteso come coefficiente numerico per poterle comparare e vedere quale impatta di più per lo stato. In pratica il DALY aiuta a contare gli anni di vita in salute che abbiamo perso.

Prima dell’avvento di questo strumento, alcune malattie femminili non erano prese in considerazione a livello pubblico e i soldi erano principalmente spesi per la malattie che causavano una mortalità maggiore.

Ora che l’abbiamo però, e soprattutto grazie ai dati del 2010, si è scoperto in Italia e nel mondo che per le donne dai 15-49 anni, il mal di schiena è una delle maggiori cause di disabilità, con un perso sulle donne e sulla comunità che non era mai stato preso sul serio prima di questi dati.

Dato che queste sono le problematiche che hanno la capacità di rendere la nostra vita di tutti i giorni un problema (quando non un inferno), sono quelle su cui forse dovremmo concentrare i nostri sforzi di prevenzione fin da giovani.

Per proteggerci da qualcosa che potrebbe capitarci tra capo e collo ogni giorno, bisogna capire quali siano i fattori di rischio più riconosciuti che nel tempo ci portano ad essere più vulnerabili. Per fortuna il GDB ha analizzato anche quelli. Dei primi 20 fattori di rischio di morte precoce (YLL), al primo posto non troviamo né la carenza di attività fisica, né l’inquinamento, né la genetica ma i “dietary risks” (fattori dietetici), cioè i fattori di rischio direttamente collegati alla nostra dieta. (Fonte G.D.B 2010)

Percentuale di morti totali attribuibili a questi fattori (per le malattie cardiovascolari e circolatorie):
◾Basso consumo di frutta
◾Alto consumo di sodio
◾Basso consumo di frutta secca e semi
◾Basso consumo di verdure
◾Basso consumo di cereali integrali
◾Basso consumo di Omega 3
◾Alto consumo di carni insaccate
◾Basso consumo di fibre
◾Basso consumo di acidi grassi polinsaturi
◾Alto consumo di grassi trans

Potremmo pensare che l’impatto della dieta si fermi qui. Ma non è così!

Andiamo a vedere quali sono gli altri fattori di rischio:

15-49 anni:
◾Alto consumo di carne processata/insaccati.
◾Basso consumo di cereali integrali
◾Poca frutta secca e semi

50-69 anni:
◾Basso consumo di cereali integrali
◾Alti consumi di carne processata/insaccati
◾Alto consumo di sodio

>70 anni:
◾Alto consumo di sodio
◾Basso consumo di cereali integrali
◾Poca frutta secca e semi

Primi 10 fattori di rischio di sviluppare disabilità:
◾Alto indice di massa corporea (peso eccessivo)
◾Fattori di rischio dietetici
◾Livelli alti di glucosio nel sangue e digiuno
◾Pressione alta
◾Fumo
◾Inattività fisica
◾Violenza del partner
◾Rischi sul posto di lavoro
◾Abuso di droghe
◾Colesterolo alto

Cosa ci viene detto di mangiare per prevenire i tumori?

Secondo le linee guida di due delle più grandi istituzioni americane contro il cancro (ACS, AIRC) le donne dovrebbero:
◾Evitare di essere obese o in sovrappeso
◾Ridurre il sale da tavola e i cibi che la contengono
◾Aumentare i cibi di origine vegetale
◾Limitare il consumo di carne rossa e processata (salumi ecc.)
◾Limitare i grassi di origine animale
◾Limitare è una bella parola, e non viene certamente scelta a caso.
◾E’ molto meno ingombrante della parola eliminare.
◾E’ politicamente più corretta e socialmente più accettabile.
◾E’ impeccabile in quel suo dire/ non dire.

E’ anche molto meno efficace però, e guarda caso i tumori sono in continua crescita, insieme a moltissime altra malattie mortali o disabilitanti per le donne.

Come spiegato nell’ottimo libro “Food Politics” di M. Nestle, mentre i primi consigli alimentari del Governo americano suggerivano di “mangiare meno” certi cibi animali, dopo le forti proteste dell’industria della carne e dei latticini si è passati ad usare eufemismi che inducessero comunque a un consumo/acquisto di questi cibi, più che a una loro riduzione.

Per esempio: dopo pagine in cui si raccomanda di aumentare il consumo di cibi vegetali, legumi e verdure, e di limitare notevolmente l’uso di carni rosse e di usare in piccole quantità “i grassi”, una una ventina di ricette proposte agli adolescenti da un progetto italiano, ben 16 contengono cibi animali (insalate e frappé di frutta compresi) e solo 4 sono ricette prive di questi alimenti (cioè vegane). Non sarebbe molto più preventivo e sincero consigliarci di passare a una alimentazione vegetariana o vegana? A chi pesterebbero i piedi però fossero così diretti? Quale rischio ci sarebbe per la nostra salute se provassimo a seguire una dieta del genere, anche solo per un mese, e vedere se ci fa stare in effetti meglio?
◾Qual’è il nostro fabbisogno di carne rossa e grassi trans?
◾Nullo!
◾E’ indispensabile per noi consumare grassi animali?
◾No!
◾Quant’è l’apporto minimo che ci serve di carne/insaccata/processata?
◾Zero!
◾Quanto latte di mamma di un altra specie dobbiamo assolutamente bere?
◾Neanche un goccio!

Ricerca scientifica e il silenzio sui benefici dell’alimentazione vegana.

La medicina moderna è basata sull’evidenza scientifica. Provare qualcosa scientificamente è una cosa buona e giusta, però costa molti soldi.

Chi può permettersi il lusso di investire o sponsorizzare queste ricerche?

La “Broccoli United”? La società vegetariana “Quattro-gatti-squattrinati”?

Anche il campo della ricerca è strutturato in modo tale che siano soprattutto le industrie farmaceutiche ad avere le risorse finanziarie che servono per poter effettuare test clinici, per poi recuperare le spese della vendita del farmaco se lo studio è positivo.

Come spiega brillantemente C.Campbell nel suo nuovo libro “Whole” le riviste scientifiche mediche non sono prive di pubblicità e sono soprattutto le industrie farmaceutiche a pagare per guadagnarsi uno spazio di prestigio in queste pubblicazioni. E’ duro quindi per chi le pubblica trovare il coraggio di stampare articoli scientifici che mettano in discussione i loro risultati, ed è ancora più duro non farsi influenzare, per i medici che le leggono.

Riviste sulla salute e il silenzio sulla dieta vegana

Cosa ci dicono le maggiori fonti popolari sul nesso tra i cibi di origine animale e i problemi di salute in rosa?

Esaminiamo alcuni esempi reali tratti da recenti riviste italiane sulla salute (2011-2013):

“Acne- No alle diete restrittive. Cioccolata e salumi non c’entrano. E’ ereditaria. Curarla è possibile grazie a pomate e e gel a base di retinoidi o agli antibiotici”

“Non ci sono evidenze scientifiche che dimostrino un ruolo della dieta nella prevenzioni dell’ulcera”

“Hai più di 90-140 di pressione? Devi prendere i farmaci”.

“Nuove armi contro il Papilloma Virus (HPV) esami molecolari, campagne di vaccinazione per tutti e controlli regolari”.

E per finire: “La stipsi è una malattia vera e propria: la cura prevede integratori di fibre”.

Cos’hanno in comune la stipsi, la pressione alta, l’ulcera, l’HPV, l’ipotiroidismo e l’acne? Hanno un fortissimo nesso con i cibi animali.

La contraddizioni che capita di leggere, sfogliando due o tre di queste riviste nella stessa giornata, ci possono portare davvero a non sapere più cosa mangiare. Prendiamo il caso del colesterolo. A quali conclusioni dovrebbe arrivare una donna dopo aver letto tutte queste cose prese da due riviste diverse?

“Colesterolo: riducilo del 20%!”

“I formaggi sono tra i cibi più ricchi di colesterolo”

“Il campione di calcio per prevenire l’osteoporosi: il formaggio Tal dei Tali.”

“Il colesterolo non sempre è un nemico”

“L’uovo è uno dei cibi più ricchi di colesterolo e grassi saturi”

“Non limitiamo il consumo del sanissimo uovo che contiene proteine nobili e indispensabili per la crescita muscolare”.

In poche pagine una donna ha così imparato che il calcio si trova nei formaggi, le proteine nelle uova e che il colesterolo va ridotto ma non eliminando formaggi (se no povere ossa!), né uova (sennò poveri muscoli!)

La schizofrenia più totale.

Quando viene citata la frutta in queste riviste, per quante lodi se ne tessano, ci consiglia di consumarla quanti sempre insieme ad altro, spesso un prodotto animale. Ecco alcuni esempi reali:

“L’anguria aiuta a combattere i disturbi del ciclo, ma va portata in tavola associata a carne rossa, perché va sempre accompagnata a un po’ di grassi”

“Cucina i lamponi con un cucchiaio di miele e servi questa composta sul pane nero”

“Per combattere la ritenzione idrica, una fetta di melone con prosciutto è l’ideale. E’ un buon compromesso tra la ricchezza del sodio del prosciutto e l’azione spazza-sale del melone.”

Per la serie mangiare un po’ di tutto per ammalarsi di più!

E d’altra parte, capiamo che non bisogna infastidire troppo gli sponsor. Quasi ogni pagina contiene pubblicità di farmaci.

La favola della dieta mediterranea

C’era una volta, non molti anni fa, un cardiologo americano, il dottor Ancel Keys, che per motivi di lavoro si trovava nel Sud D’Italia, poco dopo la fine della seconda guerra mondale. Questo dottore cominciò a notare che gli italiani avevano meno colesterolo e meno infarti rispetto ai suoi compatrioti. Per prima cosa notò la differenza della dieta tra i due gruppi. Siamo all’inizio degli anni ’50. La gente in Italia era ancora molto povera, senza un frigorifero dove conservare i cibi che come quelli animali andavano presto a male. Keys scrisse: “Il cuore di questa dieta è principalmente vegetariano e si differenzia dalle diete americane e dei paesi europei del Nord nel fatto che sono molto più bassi i loro consumi di carne, di latticini e che usano frutta al posto del dessert.

In quel periodo, come Keys constatò, si consumavano in abbondanza pasta e fagioli, tantissimi minestroni di verdure, molta pasta col pomodoro (o polenta abbrustolita) consumato da solo e lievitato in grandi pagnotte, grandi porzioni di verdure, patate, ortaggi freschi ed erbe selvatiche, modeste quantità di olio e di vino rosso ai pasti.

La frutta fresca soprattutto mele, agrumi ed uva rappresentava l’unico dessert di queste persone (quando in America, già al tempo, i bambini avevano a disposizione biscotti al cioccolato e torte confezionate). Le porzioni di carne e pesce erano piccole e al massimo si trovavano due volte alla settimana. Di latte, formaggi e burro, praticamente neanche l’ombra. La media di formaggio riportata dagli studi di Keys negli anni’60 era di 9 grammi al giorno nella popolazione delle Marche (praticamente due mozzarelle al mese a testa). La percentuale di grassi sul totale calorico? Circa un 20%. Praticamente meno della metà del consumo odierno (e molto inferiore al 30% circa raccomandato nella piramide mediterranea attuale). Keys prende nota e decide di fare uno studio approfondito sull’argomento, il “Seven countries study”. Uno studio che lo porterà in giro per il mondo a raccogliere dati sul nesso tra dieta, colesterolo, totale dei grassi e la salute cardiaca di migliaia di uomini. Quando vengono intervistati per lo studio gli uomini italiani, in tre diverse regioni, a cavallo degli anni ’60 e ’70, la dieta osservata da Keys era già cambiata notevolmente in pochi anni, per via del boom economico. I grassi erano già saliti. Ma c’è dell’altro.

Quanti anni avevano questi uomini? tutti tra i 40 e i 50 anni.

Gli anni più importanti per stabilire la nostra salute fisica sono quelli della crescita, sopratutto i primi 20. Tutti questi italiani erano quindi nati e cresciuti all’inizio del 1900, con una dieta ben diversa da quella del dopoguerra. Il problema è che a questi italiani cinquantenni in buona salute fu chiesto di descrivere solo quello che avevano mangiato durante la settimana precedente, cioè in un periodo di pieno boom economico, al tempo della nascita dei grandi ristoranti, delle grandi mangiate in compagnia, del mito del sogno americano (dieta americana inclusa) e delle vacanze di un mese intero in riviera, pensione completa. Ed anche su questi dati, e su quelli delle diete seguite a Creta e in Grecia in quegli stessi anni, che venne poi creata la piramide mediterranea che conosciamo ancora oggi, ricca di cibi animali, una piramide che non fu concepita in Italia, ma ad Harvard, nel 1944…

Donne e Dieta Mediterranea: oltre al danno, la beffa.

Tornando al dottor Keys. Di tutti i soggetti italiani che analizzò negli anni ’60 e ’70, quante erano le donne?

Furono esclusivamente uomini ad essere intervistati per quegli studi.

Nessuna donna!

Keys temeva che avrebbe avuto bisogno di un campione molto più vasto di donne, per valutare queste problematiche di salute anche tra loro. Al tempo infatti non si riteneva che le malattie cardiache fossero un problema femminile. Oggi invece, in parte proprio per colpa dei cibi animali che la nostra piramide continua a raccomandare settimanalmente o giornalmente, sono la prima causa di morte anche tra le donne.

Dieta mediterranea = Dieta vegana

Le donne che oggi seguono un’alimentazione vegetariana o vegana, pur non facendo riferimento alle linee guida suggerite dalla piramide mediterranea, hanno statisticamente l’incidenza minore di tumori femminili (e di molti altri), nonchè un inferiore indice di massa corporea, colesterolo LDL e pressione alta. Se si pensa bene, chi segue diete vegane non sta facendo altro che recuperare quella che era praticamente l’alimentazione dei nostri bis-nonni e bisnonne. ( Se avete sempre sentito associare “tofu” e “seitan” a questa dieta non fatevi ingannare: questi cibi vengono principalmente usati durante la transizione o in occasioni particolari, ma se ne può beatamente fare a meno…)

Analisi nutrizionali nel 2004 hanno confermato che la dieta vegana (più ancora di quella vegetariana) mostra “la migliore aderenza alla piramide della dieta mediterranea”, rivelandosi in modo consistente “la più salutare e di qualità di tutte” Fonte

I ricercatori sono arrivati a questa conclusione dopo aver calcolato un punteggio per i nutrienti di questa dieta, confrontandoli con gli indici della dieta mediterranea (MDS).

Il punteggio più basso e più lontano da questa dieta? Ironicamente, l’avevano proprio gli onnivori.

E’ ora di fare marcia indietro e riportare in auge la VERA dieta mediterranea. L’Italia sta disperatamente cercando un suo nuovo ruolo in Europa e nel mondo. Eccolo. Ritorniamo a conquistarci la bandiera di popolo con la salute migliore del mondo. Eliminiamo i cibi animali. Aumentiamo il consumo di ottima frutta fresca, frutta secca e di legumi, miglioriamo i nostri apporti di verdure selvatiche, ortaggi e torniamo a più bassi consumi di grassi.

E per uscire dalla crisi? Possiamo tornare a “dettar legge” in campo alimentare puntando sui prodotti vegetali di qualità della nostra terra baciata dal sole e non su quelli animali che la stanno inquinando inesorabilmente e che sono una fonte di rischio per ogni sorta di problema di salute. Torniamo a far capire ai fruttivendoli che stanno vendendo oro nei loro negozi e a ricordare ai contadini di frutta biologica e di agricoltura sinergica (senza concimi animali d’allevamento e i loro antibiotici) che sono loro i nuovi farmacisti.

Non potremo andare avanti tanto a spacciare la salubrità della dieta mediterranea di oggi se le nostre donne saranno sempre più obese, sempre più malate e sempre più cronicamente “addolorate”. Dobbiamo tornare alla dieta mediterranea reale. Forse è tempo di dire basta alle americanate a tavola. Il nostro cuore, il nostro sangue e la nostra linfa non le sopportano davvero più…

Fonte

La salute di Eva – Il nesso tra dieta e malattie femminiliultima modifica: 2021-10-27T12:00:12+02:00da shopper2000
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